martedì 20 agosto 2019

Recensione: Il Signore delle Mosche, di William Golding

Il Signore delle Mosche William Golding

Pronti a scoprire questo classico della letteratura distopica?


Il Signore delle Mosche
di William Golding

Copertina del Signore delle Mosche


Trama

Un aereo cade su un'isola deserta mentre è in corso un conflitto planetario. Sopravvivono solo alcuni ragazzi che si mettono subito all'opera per riorganizzarsi senza l'aiuto ed il controllo degli adulti. Sembra il prologo ideale per un romanzo d'avventura che celebri il pragmatismo e il senso della democrazia britannici. Qualcosa invece comincia a non funzionare come dovrebbe, emergono paure irrazionali e comportamenti asociali, da cui si sviluppa una vicenda che metterà a nudo gli aspetti più selvaggi e repressi della natura umana.


Recensione

Crudo, diretto e di una semplicità disarmante, Il Signore delle Mosche è divenuto un must nella letteratura moderna. In un libro apparentemente d'avventura e con una riscoperta della democrazia e dei valori inglesi farà capolineo la natura umana come non era stata mai vista prima: violenza, spesso fine a se stessa, rituali brutali, paure irrazionali e logiche animali sono solo alcuni degli aspetti che tocca impersonare ai bambini nati dalla penna di W. Golding.

Dopo un disastroso incidente aereo, infatti, gli unici superstiti (un nutrito gruppo di bambini) iniziano ad organizzarsi con tutte le migliori intenzioni in quella che, però, diverrà una brutta imitazione della società adulta. Dai personaggi un po' stereotipati, ma dal ritmo incalzante e dalla lettura fluida, il libro ben presto inizia a portare a galla i problemi di ogni società. Perché se, infatti, da un lato abbiamo Ralph, un bambino che mette da parte -non senza ritrosie- il suo lato infantile per cercare una soluzione per tornare a casa e che viene eletto leader per democrazia, dall'altro troviamo Jack, preda dell'adrenalina generata dal "gioco della caccia" e sofferente al suo stato di subordinato, tanto da arrivare ad una vera e propria rivolta contro tutto quanto fosse stato realizzato fino a quel momento.

Su quest'isola deserta i famosi Apollineo e Dionisiaco di Nietzsche si scontrano in maniera dura e spietata. Da un lato la ragione, che pone regole e dispone delusioni, dall'altro l'istinto, che sembra regalare giochi emozionanti e avventure travolgenti. E come in ogni società, queste due facce della stessa medaglia coesistono.

Platone, nel Fedro, rappresentava l'animo umano con una biga alata, di cui il cavallo bianco figurava l'anima irascibile, quella razionale, e il cavallo nero l'anima concupiscibile, governata solo da impulsi e desideri. Sebbene il cavallo bianco, per Platone, fosse fondamentale per mitigare gli istinti, quello davvero necessario era il cavallo nero, l'unico che generasse una spinta iniziale. Ed è esattamente questo che accade sull'isola: ad un certo punto -e Jack se ne renderà conto e ne sfrutterà i risvolti- la sola ragione e le sole regole non basteranno più. La caccia diverrà inizialmente fondamentale per la sopravvivenza futura dei ragazzi e poi necessaria per eliminare la Bestia.

Altro tasto dolente lo incarna proprio la Bestia, una creatura misteriosa e apparentemente mostruosa che dal cielo è atterrata nel luogo del fuoco, fondamentale nel piano per tornare a casa. Superstizione e religione vengono rappresentate nel modo più turbe e bestiale possibile, nate entrambe da paure infondate o ingigantite, paure irrazionali anche sfruttate da Jack, ad esempio, che per portare dalla sua parte quanti più bambini ricorrerà spesso alla minaccia della Bestia o anche della "creatura che striscia".

Tre sono i momenti cardini, gli ultimi tre gradini di una scala che porterà i ragazzi verso una strada di ombre e senza possibilità di ritorno: le rispettive morti di Simone e Piggy e la caccia all'uomo perpetrata contro Ralph.

La morte di Simone, avvenuta in una "danza-caccia" che potremmo definire quasi orgiastica, vede partecipi anche Piggy e Ralph. La violenza che ne consegue è quanto di più sovrumano e brutale si possa trovare all'interno del libro. In un istante in cui finzione e realtà si mischiano, in cui superstizione e certezze si sovrappongono, Simone viene cacciato e ucciso come il peggiore degli animali. Paradossalmente, sebbene la morte di Piggy -inaspettata a dir poco- non vedesse coinvolti attivamente i selvaggi di Jack come nel caso di Simone, mi sento di dover definire la morte di quest'ultimo inevitabile e quasi priva di responsabilità. W. Golding descrive con una crudezza disarmante quel primo omicidio e rende il gruppo di Jack una vera e propria bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Lo si nota anche nei giochi che fanno: un bambino si ritrova ad impersonare un cinghiale che deve venire cacciato con reali lance... l'angoscia che ti attanaglia quando speri che almeno quel "gioco" non sfoci in un assasinio a sangue freddo.

E proprio per questo motivo, l'omicidio a cui hanno partecipato più attivamente e razionalmente sembrerebbe proprio quello di Piggy!

La sua morte, fulminea e macabra, rimane la più inaspettata, che fa breccia non solo nel cuore del lettore, ma anche in quello di Ralph, che forse, per la prima volta, riconosce il baratro in cui Jack li ha spinti.

La caccia all'uomo che ne consegue è l'apoteosi del racconto. Personalmente ho sperato fino alla fine che Golding la risolvesse facendo rifugiare Ralph nell'unico posto in cui il terrore vinceva, persino su Jack: il falò sulla montagna. Sarebbe stata una degna soluzione, magari con Ralph che diveniva la "Nuova Bestia" o con un finale aperto... però si sa, i distopici non vengono scritti per il finale, quanto più per tutto il resto del libro e infatti l'unica pecca la ritrovo nelle pagine conclusive: nel mezzo dell'azione, quando Ralph è capitolato a terra sulla spiaggia e i selvaggi sono prossimi all'ennesimo omicidio, Golding risolve in fretta e furia con l'arrivo di alcuni militari attirati dall'isola che, nel mentre della caccia all'uomo, aveva preso irrimediabilmente fuoco. I dialoghi finali mi hanno fatta storcere il naso, sembrando fuori luogo: la calma dell'uomo è incompatibile con un'isola completamente avvolta dalle fiamme e un gruppo di bambini dipinti intenti a cacciarne un altro. Né mi ha entusiasmato non sapere cosa succederà a Jack e agli altri selvaggi una volta che si sarebbero ritrovati sulla nave insieme a Ralph. Fare finta di niente e andare avanti con la propria vita mi sembra un'ipotesi così surreale da immaginare che, a mio parere, non è un finale ben riuscito. Si poteva decisamente fare di meglio.

Ad ogni modo, menzione d'onore va al personaggio -secondo me- più riuscito e più sfaccettato dell'intero romanzo: Piggy.

La miopia condivisa e il fardello degli occhiali devo dire che hanno giocato un ruolo fondamentale e mai avevo incontrato un autore che raccontasse di questo piccolo ostacolo con tanta dovizia e precisione.
Piggy è, sostanzialmente, il classico bambino emarginato, un po' nerd e in carne. Specchio della società nel momento in cui una sua idea uscita dalla sua bocca viene derisa, ma proposta da chi ha carisma da vendere, come Ralph, viene accolta con entusiasmo. Piggy è il consigliere nell'ombra, qualcuno che sa di essere intelligente, ma che sa altrettanto che della sua intelligenza può far poco se non si trova qualcuno che lo protegga. Sebbene la vera fonte di idee e soluzioni sia lui, preferisce fare un passo indietro e cedere il prestigio a Ralph, tutto pur di non morire. Ma nonostante questi suoi lati "adulti", anche Piggy si contraddistingue per quella speranza propria solo dei bambini, come il giorno in cui credette che la conchiglia (usata per parlare a turno come massima rappresentazione della democrazia) avrebbe potuto salvarlo dalla pazzia che infervorava i selvaggi di Jack.

In conclusione, Il signore delle mosche è la trasposizione su carta di ciò che vediamo tutti i giorni, di quella giungla selvaggia costituita dalle città e dalla democrazia, dalle riunioni di gruppo e dai simboli pacifici, ma anche dalla brutalità delle persone, dai desideri repressi e gli istinti selvaggi, dal desiderio di dominio e dall'arrendevolezza di molti.

Lo stile semplice, i dialoghi diretti, i personaggi facilmente inquadrabili lo rendono un libro adatto sia ai bambini che -e specialmente- agli adulti.

Nella storia, il Signore delle Mosche è la testa mozzata di un cinghiale, sporca e ricoperta di mosche. Le vengono attribuite conversazioni, minacce e avvertimenti, quando in realtà accade tutto nella testa dei bambini che la guardano. Mi piace pensare che il libro che teniamo fra le mani sia un po' come quella testa mozzata: comunica con noi, ci trasmette immagini e messaggi, ma in realtà avviene tutto nella nostra testa e per me non c'è cosa più affascinante.



Voto

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