Eccomi di nuovo qui, in piena estate, per parlarvi di un libro che è stato capace di rapirmi e condurmi per mano fra personaggi del calibro di Fitzgerald, Wilde e Orwell. Romanzo d'esordio di Nicola Ianuale, Lo scrittore solitario è un concentrato di cultura e denuncia sociale che meriterebbe di essere letto almeno una volta nella vita.
Lo scrittore solitario
di Nicola Ianuale
Trama
Lo scrittore solitario è la storia di Daniele Serpico, detto "Dan", diciassettenne malato d'apatia, e di William Esposito, talentuoso scrittore emergente, le cui esperienze sono legate da un fil rouge più forte di quanto essi immaginano. Il primo incontra il secondo in una fase nichilista della sua vita, in cui la consapevolezza dell'incoerenza e della falsità che lo circondano lo hanno reso insensibile e privo di qualsivoglia vitalità. Arrancando nella tediante routine quotidiana, Daniele fa la conoscenza di William prima sugli scaffali di una libreria, acquistando quello che la critica ha definito il romanzo del nuovo Fitzgerald, e poi nella via del Passo Vecchio, la strada in cui abita, carica di esoterici fascini celati. Muovendosi in un'atmosfera pirandelliana dal retrogusto kafkiano, le vite di William e Dan navigano in parallelo su acque all'apparenza cristalline ma, in realtà, torbide, scortate da un caleidoscopico carosello di personaggi secondari ambigui, saccenti e contraddittori. Scavando a fondo nell'eterno dualismo tra vincenti e perdenti, William percorrerà la via della perseveranza, inseguendo un antico obiettivo, e Dan andrà alla ricerca dei pezzi mancanti per ricomporre l'enorme e metaforico mosaico della criptica vita di William, chiave di volta per comprendere meglio sé stesso.
Recensione
Avete presente il sesto senso? Quello che vi porta a lasciare un libro sullo scaffale della libreria perché anche se sembra perfetto non vi convince? O quello che al contrario, anche se tutto sembrerebbe indicare "non fa per te, gira a largo", vi spinge a prenderlo?
Ecco, io ho seguito il mio sesto senso che mi aveva detto che questo libro aveva del potenziale e sono contenta di dirvi che non mi ero sbagliata.
Fin da piccola ho sempre letto veloce, "divoravo" libri su libri, e con gli anni questa velocità è aumentata sempre di più. Fermare la lettura è quasi una violenza e mi costringo a farlo solo quando non voglio che finisca troppo in fretta, ma per la prima volta con Lo scrittore solitario ho percepito la necessità di prendermi una pausa ogni qualche pagina, un capitolo massimo. Avevo il bisogno fisico di metabolizzare ciò che avevo letto e credo che questo sia il modo migliore per comprendere appieno questo libricino di duecento pagine che si porta dietro una mole di storia letteraria immensa.
Il modo migliore per descrivere questo romanzo è utilizzare il riferimento ad una tecnica narrativa vecchia come Platone, letteralmente. Dai tempi più antichi la filosofia ha trovato posto nella letteratura attraverso l'espediente del dialogo: quella che era una semplice conversazione fra amici o conoscenti si rivelava essere il mezzo migliore per lasciare intendere il proprio pensiero senza renderlo un pesante e laborioso testo di saggistica. Lo scrittore solitario si può quindi intendere come un dialogo filosofico che ha lo scopo di gridare al mondo la sua repulsione per i meccanismi della società odierna, fondata sull'apparenza, le famose maschere di Pirandello, e divisa in vincenti e perdenti, che non sempre rappresentano le persone "capaci e buone" o "incapaci e cattive".
I protagonisti di questo metaforico dialogo sono due personaggi che definirei quasi fuori dal tempo: un famoso quanto giovane scrittore dall'animo ottocentesco, amante dell'eleganza nei suoi termini più antichi e dotato di una scintilla di vita negli occhi,
e un liceale con un sogno ormai rinchiuso nel cassetto e abbandonatosi all'apatia e al nichilismo.
I riferimenti letterari interni al libro sono molteplici e il loro utilizzo ponderato è una boccata d'aria fresca rispetto a chi ne sfrutta solo il valore culturale senza davvero saperli calare nel giusto contesto. Molte sono le citazioni riportate e segnalate, ma altrettante le allusioni velate che solo chi conosce può davvero apprezzare. Questo libro è un'infusione di letteratura di cui non sapevo di aver bisogno.
Fra tutti però risalta il legame con Il grande Gatsby di cui il romanzo stesso ricalca un poco le linee guida e che troneggia all'interno della storia stessa come protagonista indiscusso e super partes.
Così come a Daniele con Orwell, Fitzgerald e altri, così a me piace immaginare il personaggio di Gatsby osservare con la sua classica malinconia lo sviluppo di una storia che, se le si presta bene attenzione fin dall'inizio, è già scritta.
Ho trovato interessante il rapporto fra Daniele, il diciassettenne deluso dalla vita, e William, esteta già solo di nome, vista la scelta anglofona per una maggiore musicalità rispetto ai nomi italiani. Col senno di poi, quella curiosa sensazione che non mi permetteva di abbassare la guardia durante l'evolversi della storia era da attribuirsi ad una presa di coscienza inconsapevole di star assistendo ad una storia dentro una storia: di fatto Daniele non ha mai partecipato alla storia di William, ma ne è stato silenzioso spettatore. La figura misteriosa dello scrittore viene, infatti, scoperta pian piano lungo il corso del romanzo e proprio come dice la filosofia che vede il destino come un futuro già scritto e non modificabile, così assistiamo tutti impotenti al percorso di William.
Di pari passo si va a delineare anche quello di Daniele, il nostro adolescente che di adolescenziale ha ben poco. Proprio il suo modo di porsi, comunicare e ragionare maturo e a tratti elitario va a consolidare l'idea di un dialogo filosofico figurato.
Le conversazioni fra William e Daniele risultano, quindi, sempre estemporanee e estremamente articolate, mettendo il lettore nella condizione, impossibile da evitare, di ragionare e sviluppare un proprio pensiero. I principali argomenti trattati sono sostanzialmente generati da un macro tema: il degrado della società, incentrata ormai unicamente sull'apparenza, i Social e le false amicizie, e la conseguente suddivisione sociale in vicenti e perdenti, dove, di nuovo, i vincenti sono gli affabili, i bravi oratori, quei famosi "venditori d'aria fritta", e i perdenti sono coloro a cui manca quel sex-appeal, quell'intraprendenza sociale, gli introversi.
Personalmente non condivido quella malinconia propria degli artisti per un passato idealizzato e di fatto inesistente. Quando si pensa ad un periodo storico come l'ottocento o il novecento ci balenano davanti agli occhi i letterati che studiamo tutt'oggi, i geni che hanno contribuito alla letteratura mondiale, ma non bisogna dimenticare come la visione che abbiamo sia fallace perché limitata e rappresentativa di una ristretta élite. Le feste e il fasto dell'epoca del Grande Gatsby, l'eleganza e l'educazione degli anni cinquanta, la donna angelo dell'ottocento bisogna rendersi conto che non solo rappresentavano il 5% della totalità della società del tempo, ma era attorniata da valori morali che al giorno d'oggi di morale avrebbero ben poco. Di conseguenza non riesco mai davvero a comprendere l'intenzione di idealizzare un periodo storico che se poi si conosce non è affatto così splendente come lo si descrive. Per lo stesso concetto non condivido la demonizzazione della società odierna: tutto quello che le si rinfaccia non è cosa nuova. Le famose maschere pirandelliane esistevano ben prima di Pirandello, non sono state inventate dai Social; allo stesso modo i pettegolezzi e le male voci, se prima avvenivano nei salotti dei signori e delle signore oggi avvengono nei "salotti" di internet.
Per tutto il romanzo mi sono ritrovata a provare quindi un moto quasi materno nei confronti del passato idealizzato dei personaggi e per la loro speranza riservata in una società che mai è realmente esistita.
C'è un tema che, invece, mi ha fatto proprio storcere il naso: la donna come premio ambito sia sia dai perdenti che dai vincenti ma vinto solo da questi ultimi. Entrambi, sia Dan che William, devono il loro sguardo cinico e paternalistico del mondo ad una delusione amorosa. Entrambi neanche realmente rifiutati, ma semplicemente non presi in considerazione. Il non essere stati scelti dalla donna amata, per loro incarnazione della donna angelo, li ha portati a sviluppare l'errata concezione che "a prendersi la donna saranno sempre i vincenti" che essendo il loro opposto sarebbero dovuti inequivocabilmente essere eticamente e/o mentalmente meno di loro. Gli eterni incompresi, i bravi ragazzi lasciati ai margini in favore dei "cattivi ragazzi", i bad boys. Il pensiero di Dan e William purtroppo è più esteso di quanto si pensi ed è uno specchio di parte della società odierna. Credo che sia giusto sottolineare come bisogni dare un taglio a questo vittimismo maschile. Che nel discorso la donna possa essere stata solo una metafora non cambia il concetto di base, ed anzi lo ritengo abbastanza antiquato come esempio. Quello che né Daniele né tantomeno William riescono a comprendere è che le buone maniere e la gentilezza non sono tutto, anzi, non sono nemmeno lontanamente sufficienti per le basi di una buona relazione, per non parlare dei gusti personali di ogni persona. Il rifiuto di una persona non fa il rifiuto di un intero genere così com'è estremamente errato attribuire i gusti di una persona ad un intero genere. Il mondo non è davvero diviso sistematicamente in vincenti e perdenti, perché ciò che è vincente per uno potrebbe non esserlo per qualcun altro: è il caso di Elena e Marta, le due donne all'interno della vita di William. Quest'ultimo era talmente preso dalla propria convinta idea di un mondo marcio fino al midollo da non accorgersi che stava giocando a quello che è il grande gioco della vita esattamente come tutti gli altri, solo con un pizzico di nostalgia in più nello sguardo.
William è stato per Daniele quello scossone necessario a risvegliarlo dall'intorpidimento in cui si era calato, ma non sono sicura che quello che si è ritrovato ad abbracciare il ragazzo sia stato migliore: la rabbia e il rancore che si porterà dietro per il resto della vita ricalcano paurosamente le scelte di vita di William e, sebbene con percorsi diversi, alla fine delle loro storie credo che il risultato sarà pressoché lo stesso.
Il finale dolce amaro del libro e le scelte dei protagonisti li ho trovati particolarmente realistici proprio nella loro ambiguità morale e a fine libro posso affermare che quel sesto senso che mi aveva spinto a leggerlo aveva ragione.
Lo scrittore solitario con il suo italiano colto ma non borioso, lo stile scorrevole e gli episodi utilizzati come espedienti narrativi per parlare di qualcosa di articolato come la natura umana è un libro che mi ritrovo a consigliare fortemente. Pur non condividendo la filosofia di base, come avrete notato, è capace di far ragionare e far pensare, ma soprattutto, attraverso il suo nichilismo, è capace di instillare una voglia di vivere di cui abbiamo estremamente bisogno.
"La nostra vita è il più grande romanzo che ognuno di noi possa scrivere"
Wow! Sembra bellissimo, lo metto subito in whislist
RispondiEliminaSpero ti piacerà quanto è piaciuto a me!
EliminaHai scritto una recensione davvero stupenda,penso proprio che questo libro sarà la mia prossima lettura! Adoro il modo in cui hai argomentato il tutto e mi e piaciuto molto come hai descritto le cose che non ti sono piaciute! Sono sempre più convinta di aver fatto bene ad acquistarlo!
RispondiEliminaTi ringrazio! Credo non ci sia cosa più importante che argomentare, specialmente le cose che meno ci sono piaciute
EliminaAdoro il tuo modo di scrivere e interpretare le cose. Sembra un libro interessantissimo
RispondiEliminaGrazie mille, sei gentilissima! Io l'ho trovato un grande spunto di riflessione e spero valga lo stesso per chiunque intenderà leggerlo
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