giovedì 10 settembre 2020

Recensione: Fahrenheit 451, di Ray Bradbury

Fahrenheit 451 Ray Bradbury recensione di Pagine di Inchiostro

Salve, lettori! Possiamo dire che è passato un po' di tempo dall'ultima recensione e mi dispiace dover tornare con una non esattamente positiva. Sto parlando di un libro ritenuto parte dei classici della letteratura distopica: Fahrenheit 451, di Ray Bradbury.

Fahrenheit 451
di Ray Bradbury



Trama

Montag fa il pompiere in un mondo in cui ai pompieri non è richiesto di spegnere gli incendi, ma di accenderli: armati di lanciafiamme, fanno irruzione nelle case dei sovversivi che conservano libri e li bruciano. Così vuole fa legge. Montag però non è felice della sua esistenza alienata, fra giganteschi schermi televisivi, una moglie che gli è indifferente e un lavoro di routine. Finché, dall'incontro con una ragazza sconosciuta, inizia per lui la scoperta di un sentimento e di una vita diversa, un mondo di luce non ancora offuscato dalle tenebre della imperante società tecnologica.


Recensione

Inizio dicendo subito che: ci ho provato! Ho davvero provato a leggere questo libro sotto un'ottica diversa, ho davvero cercato di soprassedere a quelli che per me sono un buco di trama e incongruenze neanche troppo piccoli, ho persino ritardato a scrivere la recensione per dar tempo ad un'amica di leggerlo, sperando che fosse tutta una mia grande incomprensione. Ribadisco, ci ho provato, ma non sono riuscita a farmelo andare giù. 

Questo libro è tutto una grande mancanza: manca di alcuni snodi narrativi, manca di una vera e propria caratterizzazione dei personaggi, manca di una reale figura antagonista (che sia reale o figurata), manca di un finale coerente, ma soprattutto manca di un world-building strutturato. 

Ma andiamo con ordine...

Come avete già letto dalla trama, il nostro protagonista è un pompiere, ma diverso dall'odierna concezione di domatori del fuoco, salvatori di vite e dal carattere intrepido. In questa realtà, infatti, compito dei pompieri è bruciare i libri conservati illegalmente, e spesso anche le case che li ospitavano, per non parlare del successivo arresto di coloro che li detenevano. La denuncia della società con cui veniamo in contatto è sicuramente più attuale di quanto sembri, nonostante la prima edizione risalga al '56: si parla di un consapevole sacrificio del contenuto, inteso come sostanza, profondità, valore, cultura, in favore della velocità. Qualsiasi cosa deve essere veloce, che siano le macchine, i divertimenti a portata di mano, lo scorrere dei pensieri non più "appesantiti" da argomenti complessi, ma lasciati fluire da programmi televisivi senza spessore, libri riassunti da un titolo o meglio ancora, neanche citati! 

La Los Angeles di Bradbury è priva di un'etica morale, devota al divertimento nei suoi termini più estremi: pericolo e sadismo vanno di pari passo con la depersonalizzazione dell'uomo e la declassazione dei valori tradizionali. Si passa da madri fiere di "figliare" e scaricare i figli ad altri a omicidi stradali a cui si assiste e di cui si apprende notizia senza battere ciglio, e di nuovo, si passa dal prediligere "i parenti" in televisione, invece che ad avere una conversazione con il proprio coniuge, a votare per un partito piuttosto che per un altro basandosi sul mero aspetto fisico dei candidati.

"Li tengo a scuola nove giorni su dieci e devo combattere con loro soltanto tre giorni al mese, quando vengono a casa; non è poi il disastro che dici tu. Li sbatto in salotto e giro la manopola delle pareti. E' come lavare dei vestiti nella lavatrice automatica: riempi la vasca di roba da lavare e chiudi ben bene il coperchio." la signora Bowles ridacchiò "Credo che preferirebbero prendermi a calci che baciarmi: come se non sapessi rispondere a una pedata con un calcio!" (Conversazione della signora Bowles a proposito dei suoi figli)

Quella rappresentata è una società che ha smesso di farsi domande, che ha sposato la comodità ed è ormai preda della stessa alienazione che inizialmente tanto bramava. E, come ogni distopia totalitarista che si rispetti, ci presenta la mancanza di indipendenza sociale e mentale. 
Come già detto all'inizio, Fahrenheit 451 è estremamente attuale nella sua condanna ai mezzi di comunicazione digitali, qui interpretati dalla televisione (ricordiamoci che fu scritto nel 1956), divenuta dapprima un mezzo di intrattenimento e successivamente l'unica realtà in cui si vorrebbe vivere. Probabilmente questa concezione strizza l'occhio al cinema dei telefoni bianchi, ovvero tutti quei film degli anni '30 e '40 caratterizzati dalla rappresentazione di famiglie benestanti attraverso gli arredi e, per l'appunto, lo status symbol dei famosi telefoni bianchi, utilizzati per marcare la differenza dai comuni ed economici telefoni di colore nero. L'idealizzazione di un mondo di cui vorremmo far parte e la consapevolezza che questo in realtà non esista, con la conseguente infelicità interiore non vi ricorda forse qualcosa? Nel migliore dei casi gli abitanti di questa Los Angeles si tappano le orecchie con le mani (o con auricolari) per non sentire la verità, perché non vogliono essere schiacciati dalla consapevolezza che il loro sogno e le loro aspirazioni siano irrealizzabili, nel peggiore non hanno neanche la capacità di comprendere che potrebbe esserci altro.


Infine, abbiamo i veri protagonisti del romanzo: i libri, e la loro condanna. Persino il titolo ne è un chiaro ed esaustivo richiamo: Fahrenheit 451 è, infatti, la temperatura a cui brucia la carta. La domanda da un milione di dollari: perché bruciare i libri? Contrariamente a quello che molti di voi staranno pensando, no, non è per un maggior controllo sulla gente, o meglio, quella ne è stata una piacevole conseguenza per lo Stato, ma no. La risposta è, paradossalmente, per una ricerca di felicità

Questa rincorsa alla felicità si basa sulla malata e contorta concezione che il modo migliore per risolvere un problema sia estirparlo alla radice, o meglio, bruciarlo. "Bruciamo tutto, bruciamo ogni cosa! Il fuoco è luce e soprattutto è purificazione!" Anziché combattere le discriminazioni, si tappano le bocche; piuttosto che render tristi i venditori per cattive recensioni, si fanno saltare i mezzi che permettevano la diffusione di pareri, medici o privati; se la famiglia si oppone ai dettami insegnati a scuola, si abbassa l'età minima obbligatoria per frequentare la scuola. "Non puoi costruire una casa senza chiodi e legname. Se vuoi che la casa non si costruisca, fa' sparire chiodi e legname."

Quello che amo delle distopie è proprio il realismo che porta alla catastrofe sociale e qui l'idea di base è magistrale! Non si parla, infatti, della presa di potere di un partito dittatoriale, quanto più di un desiderio comune, poi sapientemente sfruttato dallo stato, ma comunque dovuto ad un degenerato senso comune. La conseguente depersonalizzazione, il conformismo, l'estromissione dalle scelte politiche attraverso la fallace informazione sono stati tutti una conseguenza del grande desiderio di velocità, a sua volta dovuto alla paura di perdere tempo. Perché leggere un libro di cinquecento pagine se lo si può riassumere in duecento e poi in trenta e poi in una colonna sul giornale, meglio ancora se col solo titolo! "Il cervello umano rotea in ogni senso così rapidamente, sotto la spinta di editori, sfruttatori, radiospeculatori, che la forza centrifuga scaglia lontano e disperde tutto l'inutile pensiero, buono solo a farti perdere tempo". 


Toccati, dunque, gli argomenti salienti del romanzo, io andrei a spiegarvi perché questo libro per me, nonostante tutto, rimarrà un enorme

Come si sarà evinto dalla prima parte di questa mia recensione, la società pensata da Bradbury è, per quanto attuale, strutturata in maniera diversa dalla nostra e dotata di un'oggettistica in realtà mai realmente esistita. Che il ronzio nelle orecchie della moglie di Montag ci rendiamo poi essere cuffiette o che la parete TV sia uno schermo tutto parete non spiega nello specifico chi siano "i parenti", "le zie" e "gli zii". Ci troviamo di fronte ad un programma televisivo programmato per interagire con lo spettatore o a reali persone che comunicano dai salotti di casa propria? E per quest'ultimo caso, non sarebbe un controsenso la presenza stabile delle stesse personalità all'interno di una società che teme la noia e la monotonia? Queste sono solo alcune delle domande che mi sono ritrovata a fare e a cui non ho ottenuto risposta. La stessa struttura sociale pare abbozzata e mai realmente elaborata. Si potrebbe pensare che il world-building sia stato sacrificato per omaggiare principalmente la figura del singolo individuo, ma la scarsa caratterizzazione dei personaggi lo rende un debole tentativo, se questo era l'intento.

Mildred, la moglie di Montag, che appare poche volte e principalmente sempre assorta dalle pareti TV, l'ho trovata più caratterizzata del protagonista! Non a caso lei, e a seguire Clarisse, sono stati i miei personaggi preferiti. Mildred è una di quelle persone sopra riportate che sanno di star vivendo un'illusione, ma preferiscono far finta di niente piuttosto che soffrire, peccato che la consapevolezza resti tale qualsiasi cosa si cerchi di fare e la nostra Mildred cercherà di ricorrere alle droghe pur di "tornare ad essere felice". Il concetto di spensieratezza assume tutt'altro peso e significato con questo romanzo.
Clarisse è, invece, la pecora nera della società, la cornice appena inclinata sulla parete, l'oggetto che stona ovunque lo si metta. In realtà, se ci soffermassimo a pensare, chiedere se si è mai assaggiata la pioggia lo sarebbe anche nella nostra di società e non so quanto questo dica di noi. Dovrebbe farci preoccupare come abbiamo iniziato a guardare alla vita e al tempo: il culto della praticità e il concetto di vivere per lavorare sarebbero i temi perfetti per una distopia se solo non li stessimo già vivendo.
Ma tornando a noi, il ruolo di Clarisse sarebbe, ovviamente, quello di far aprire gli occhi al nostro protagonista, come personaggio dovrebbe immolarsi ed esporsi per provocare uno scossone in Montag e parrebbe anche così, se non fosse che in realtà questo scossone era già avvenuto (?).

Seguirà la critica al grande buco di trama del romanzo che però presenta un altrettanto grande SPOILER, perciò se non volete svelarvi la sorpresa non cliccate sul pulsante sottostante.


Per il resto la figura di Montag risulta tutto sommato ben strutturata: quel misto di ingenuità e stupidità quasi infantile tipico di chi deve imparare di nuovo a parlare, a pensare, a vivere, è genuino e credibile. Il suo affetto per la moglie e per la giovane Clarisse è sincero e inspiegabile proprio per la sua paradossalità.


Siamo infine giunti alla parte finale del romanzo. Ci sono per l'esattezza due momenti di spannung (massima tensione) prima di arrivare a quello che per me è stato un finale andante totalmente allo sfacelo. Non parlerò di questi due momenti per evitare spoiler, ma vi dirò solamente che sono davvero ben fatti e capaci di attanagliarti lo stomaco perché, essendo una distopia, "Non si può mai sapere!". Parlerò invece delle ultime trenta pagine finali.

Se lo stile interessante e scorrevole aveva fino ad ora attenuato la leggera confusione che prendeva nell'approcciarsi ad una realtà mai realmente spiegata nelle sue dinamiche e dante per scontato molte, troppe, cose, ma comunque con una certa coerenza, anche se poco intuibile, in queste ultime pagine si arriva all'apoteosi dello sconcerto!

Di nuovo, per evitare SPOILER indesiderati e non leggere quella che per me è la grande delusione del romanzo, il suo finale, non cliccate sul pulsante sottostante. 

In sostanza il finale filosofeggiante e un poco vago ha fatto calare quello che poteva essere un gran bel libro -con le sue pecche, certo- a un libro da leggere per la valenza puramente distopica dell'idea di base e non per la reale ricerca di un libro con un buon intreccio di trama o anche solo con una trama lineare, ma sempre coerente.

In conclusione, è un libro che consiglierei? Sì. Ritengo che sia comunque importante, di nuovo, per la sua valenza distopica, ma metterei in guardia, così come sto facendo con voi, su cosa aspettarsi. Ovviamente il mio rimane un parere personale più o meno condivisibile, non certo campato in aria, ma ugualmente soggettivo. Riconosco la valenza culturale dell'opera, considerando specialmente il periodo storico in cui fu scritto, ma non riesco a chiudere pienamente gli occhi davanti a domande senza risposta che, nonostante la brevità del romanzo (248 pagine), avrebbero potuto ampiamente trovare spazio considerando una miglior costruzione sociale in libri altrettanto piccoli come Il Signore delle Mosche di W. Golding (241 pagine) e La fattoria degli animali di G. Orwell (112 pagine).





Piccola menzione extra: ci tenevo a mostrarvi la mia edizione risalente al 1975! Ha fatto un certo effetto ritrovare parole come giuoco e non ostante.















VOTO










4 commenti:

  1. Come ti ho già detto su Ig questo era un libro che mi interessava per approcciare al genere distopico, ma dopo aver letto la tua recensione, credo che passerò. Ad ogni modo, magari proverò a leggere Vox che mi ispira, tanto per iniziare!

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    1. Credo sia la scelta migliore, perché un impatto poco positivo all'inizio potrebbe compromettere l'intera idea che si andrà poi a formare sul genere. Vox, invece, te lo consiglio vivamente: è una delle distopie più recenti che siano uscite e merita particolarmente. Non è un classico del genere distopico, ma secondo me ha tutte le carte in regola per diventarlo!

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  2. Come ben sai a me questo libro è piaciuto molto, ma tu hai spiegato benissimo le tue perplessità e capisco cosa non ti abbia convinta. È incredibile come si possano avere opinioni così diverse su qualcosa!

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    1. Sono assolutamente d'accordo: è interessante vedere quante visioni differenti si possano avere su uno stesso libro!

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