lunedì 5 settembre 2022

Recensione: La verità sul caso Harry Quebert, di Joël Dicker

Ritorno dalle vacanze con tre libri letti, altrettanti da finire (più una montagna di recensioni in arretrato da scrivere) e il sollievo di aver comprato La verità sul caso Harry Quebert al mercatino, perché se oltre alla delusione di questa lettura si fossero aggiunti anche 20€ sprecati non so come l'avrei presa. Come avete potuto vedere dal titolo e da questa felice introduzione, il libro di cui vi parlo oggi è La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker, un fenomeno editoriale da cui mi aspettavo se non il capolavoro del secolo, quantomeno qualcosa.

Ritorno dalle vacanze con tre libri letti, altrettanti da finire (più una montagna di recensioni in arretrato da scrivere) e il sollievo di aver comprato La verità sul caso Harry Quebert al mercatino, perché se oltre alla delusione di questa lettura si fossero aggiunti anche 20€ sprecati non so come l'avrei presa.

Come avete potuto vedere dal titolo e da questa felice introduzione, il libro di cui vi parlo oggi è La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker, un fenomeno editoriale da cui mi aspettavo se non il capolavoro del secolo, quantomeno qualcosa.


La verità sul caso Harry Quebert
di Joël Dicker

Ritorno dalle vacanze con tre libri letti, altrettanti da finire (più una montagna di recensioni in arretrato da scrivere) e il sollievo di aver comprato La verità sul caso Harry Quebert al mercatino, perché se oltre alla delusione di questa lettura si fossero aggiunti anche 20€ sprecati non so come l'avrei presa. Come avete potuto vedere dal titolo e da questa felice introduzione, il libro di cui vi parlo oggi è La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker, un fenomeno editoriale da cui mi aspettavo se non il capolavoro del secolo, quantomeno qualcosa.


Trama

Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di quindici anni, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sta vivendo uno dei rischi del suo mestiere: è bloccato, non riesce a scrivere una sola riga del romanzo che da lì a poco dovrebbe consegnare all’editore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: l’amico e professore universitario Harry Quebert, uno degli scrittori più stimati d’America, viene accusato di avere ucciso la giovane Nola. Il cadavere della ragazza viene ritrovato nel giardino della villa dello scrittore, a Goose Cove, poco fuori Aurora, sulle rive dell’oceano. Convinto dell’innocenza di Harry Quebert, Marcus abbandona tutto e va nel New Hampshire per condurre la sua personale inchiesta. Dopo oltre trent’anni deve dare risposta a una domanda: chi ha ucciso Nola Kellergan? E naturalmente deve scrivere un romanzo di grande successo.


Recensione

In realtà non ho molto da dire su questo libro se non che non mi è piaciuto per nulla. Mi era stato venduto come un "capolavoro" da un numero sufficiente di persone da iniziare a crederci e invece mi sono ritrovata con un libro che personalmente non arriva neanche alla sufficienza

Per coloro a cui La verità sul caso Harry Quebert è piaciuto e amano Joël Dicker e si sentiranno toccati negativamente da questa mia recensione, premetto che no, non è il genere a non fare per me, ma l'autore e il suo stile

Il grande problema di questo libro, infatti, è proprio come è stato scritto. Il mistero e la risoluzione di esso di per sé non mi sono dispiaciuti, ma il modo in cui sono stati proposti mi hanno rovinato l'intera esperienza.   

Partiamo con il dire che le descrizioni delle scene sono nulle, scarne se non del tutto assenti. A volte si perde tempo a descrivere un paesaggio per il mero gusto estetico, ma quasi mai per caratterizzare una scena di dialogo. Questi, poi, sono la nota dolente di questo libro: sono poco verosimili, al limite di una caricatura. Come dicevo, le descrizioni spesso mancano totalmente e questi botta e risposta, quindi, procedono ad oltranza, come se ci trovassimo davanti la stesura di un copione piuttosto che di un testo di narrativa. L'impressione che ho avuto, infatti, è quella di leggere un testo teatrale, uscito pure male per giunta.

I dialoghi poco realistici risultano quasi comici (per non dire tragici), specialmente nel modo in cui l'autore fa parlare o pensare le donne: per intenderci, ricorda quello dei personaggi secondari che possono apparire nei romanzi dell'Ottocento. Segue un breve estratto privo di spoiler per farvi meglio intendere (per completezza, Y è una donna di circa 25 anni e X l'uomo di cui è innamorata):

«Raggiante di felicità, Y baciò il foglio e lo strinse al petto. Poi accennò qualche passo di danza, e iniziò a urlare: "X, amore mio, tu non sei pazzo! Ti amo anch'io, e tu hai tutti i diritti del mondo su di me! Non scappare, tesoro mio! Ti amo tanto!" Eccitata per la scoperta, Y si affrettò a posare il foglio sulla scrivania, per paura di essere scoperta, e tornò subito nel salone. Si sdraiò sul divano, alzò la gonna in maniera che si vedessero le cosce e allargò un po' la scollatura della camicetta per far risaltare i seni. Nessuno le aveva mai scritto niente di così bello. Appena X fosse rientrato in casa, gli si sarebbe concessa. Gli avrebbe offerto la propria verginità.» 


O, ancora, l'utilizzo di diminutivi che ho trovato estremamente fastidioso. Ad esempio, la madre del protagonista si riferisce sempre a se stessa come a "mammina" (Non siamo in un libro di Dostoevskij, Dicker. Anche se qua temo sia un "problema" di traduzione con l'inglese mommy, che comunque non migliora la situazione), l'ipotetica compagna, partner o fidanzata che dir si voglia, viene sempre resa con "amichetta", questo e altri diminutivi vari che producono un effetto grottesco nel loro infantilizzare oggetti o persone che non dovrebbero essere infatilizzati. 

Continuando sempre con quelli che per me sono i problemi tecnici de La verità sul caso Harry Quebert, a differenza di quanto ci si aspetterebbe da un giallo, dove quasi tutto ciò che viene detto e presentato, poi, si rivelerà importante per la risoluzione del caso, qui molto è di contorno. A volte si ha l'impressione che serva solo ad allungare un brodo già di per sé annacquato. E non si parla di un paio o di qualche decina, ma di centinaia di pagine. Mi sbilancio e vi dico che se iniziaste a leggere da pagina 300 (circa) non vi cambierebbe niente ai fini della trama vera e propria. 

Di fronte alle mie remore che aumentavano sempre di più durante la lettura del libro, le persone a cui era piaciuto o che comunque lo avevano già letto mi avevano "consolata" dicendo che la situazione si sarebbe sbloccata verso la pagina 300/330(!), ed effettivamente è successo, ma 300 pagine rimangono 300 pagine e tutto ciò che accade in questa prima parte si rivela pressoché inutile ai fini della storia. 


Entrando, poi, più nel contenuto, ho trovato una storia impregnata di retorica dove l'autore sembrerebbe cantarsela e suonarsela da solo: Dicker scrive di un "grande" scrittore che dà consigli di vita e di scrittura ad un altro scrittore che ci viene venduto come il genio della letteratura senza però che si riesca mai a vederlo davvero. Insomma, ho trovato dell'ironia nel leggere consigli da uno scrittore vendutomi come eccelso e che invece è uno dei peggiori che abbia mai letto. 

Ho apprezzato (una delle poche cose) l'introduzione dei vari capitoli, che altro non è che una vecchia conversazione avuta fra il protagonista e il suo mentore, Harry Quebert, spezzettata in 31 capitoli (tanti quanti i consigli forniti da Quebert). E se Dicker si fosse fermato qui, non avremmo avuto il problema della troppa retorica, ma è anche vero che se Dicker avesse scritto con un altro stile questo libro sarebbe stato migliore, ma tant'è...

Continuando con questa nostra recensione felice, giungiamo infine al caso vero e proprio: intricato il giusto, ma -secondo me- alla fine reso male. Dopo aver sopportato il piangersi addosso del protagonista nelle prime 300 pagine, aver assistito a telefonate con la madre così imbarazzanti da volerle dimenticare il secondo dopo averle lette e aver chiuso un occhio, ma facciamo anche entrambi, al modo con cui il protagonista si rapporta con la polizia (il classico investigatore improvvisato che crede che tutto gli sia dovuto e che per questo, nonostante sia privo di abilitazione alcuna, non sia un giornalista e abbia deciso solo 10 minuti prima di voler giocare a Sherlock Holmes, pretende che gli vengano fornite prove e accesso a luoghi, persone e indagini del caso), il tutto prendendo a ridere i dialoghi perché l'alternativa sarebbe piangere, e non è il caso, arriva la tanto attesa rivelazione, il finale così sconvolgente da farvi rivalutare l'intero libro e capace di dare un senso a quei 19,50€ spesi per comprarlo. 

Ah no, aspettate! Mi dicono dalla regia che non abbiamo avuto questa fortuna. 

Scherzi a parte, l'unico modo che La verità sul caso Harry Quebert aveva per riscattarsi ai miei occhi era il finale, che, però, per quanto non sia brutto (non ci sono buchi di trama o risoluzioni senza senso), si presenta comunque scialbo. Con le recensioni entusiaste trovate ovunque e ben 770 pagine di suicidio stilistico, mi sarei aspettata di arrivare alla fine e dire WOW. E invece no. Non solo non c'è stato alcun wow, ma la risoluzione -non scontata nella sua interezza ma neanche chissà quanto sconvolgente- è risultata persino frammentata! Infatti ci viene presentata come parziale e ci viene completata solo con conversazioni future che richiamano al passato. 

Dicker non è il primo a presentare un finale strutturato in questo maniera, ma personalmente non apprezzo i finali spezzati in questo modo. Inoltre, è spesso qualcosa che si vede fare nei film e qui ci ricolleghiamo ad un altro dei problemi che ho riscontrato. 

Quando i libri prendono in prestito dal cinema alcuni metodi di regia, per i miei gusti, bisogna fare attenzione a non strafare. E se siete arrivati fino a qui, avrete ormai capito che se lo premetto è perché l'autore ha fatto proprio questo, ha strafatto. Ok i flashback che ci permettono di rivivere il passato in prima persona, passi il narratore che non si riduce ad una prima persona interna, ma assistere a scene dove le uniche persone presenti sono morte, e che quindi non potrebbero essere rivissute attraverso il racconto di nessuno dei personaggi in vita, anche no. 

Continuando a scavare in una storia che lascia il tempo che trova, non si può non menzionare quanto i personaggi si presentino stereotipati: tolto il protagonista Marcus Goldman che risulta davvero infantile, petulante e alquanto egoista, troviamo un editore senza scrupoli, un agente letterario di cui non ci si può fidare, padri di famiglia alla Homer Simpson e donne -come già accennato precedentemente- d'altri tempi, ma talmente d'altri tempi da non essere mai esistite se non nei romanzi in cui occorreva fornire al protagonista tormentato un trofeo, sciocco e grazioso, da vincere.

Infine, mi sento di aggiungere un'ultima critica, che più che darmi fastidio, mi ha lasciato dell'amaro in bocca. Quanto dirò non si può considerare spoiler, perché è qualcosa che si scopre prima ancora che si trovi il corpo, e quindi prima che parta la vicenda: nel 1975 Harry Quebert, trentatreenne, ebbe una relazione con la quindicenne Nola Kellergan. Al di là della citazione a Lolita, sia per il tipo di "amore proibito" che per "N-O-L-A" (che richiama il più celebre "Lo. Li. Ta"), ciò che dopo ben 770 pagine ancora non mi va giù è come non compaia mai la condanna della relazione da parte del protagonista, anzi! Se posso comprendere l'incapacità di Quebert di riconoscere quanto fosse immorale la loro relazione, non posso fare altrettanto con il protagonista, completamente estraneo ai fatti. Non c'è una volta che si mostri disgustato o particolarmente colpito. Il massimo dell'obiezione che ha da fare non è neanche sulla relazione, ma sul perché l'amico non glielo avesse mai rivelato (e qui persino Quebert gli fa capire quanto sia ridicolo):

«"(...) Mi chiamano con termini rivoltanti: pedofilo, pervertito, maniaco... La gente infanga il mio nome e brucia i miei libri. Ma voi dovete saperlo, e lo ripeto per l'ultima volta: io non sono un assassino. Nola è l'unica donna che abbia mai amato e, per mia sfortuna, aveva solo quindici anni. Ma al cuore, purtroppo, non si comanda..."
"Al cuore non si comanda? Nola era minorenne!" sbottò Roth.
Harry fece una smorfia amareggiata. Si voltò verso di me.
"La pensi anche tu così, Marcus?"
"Harry, la cosa che mi turba è che tu non me ne abbia mai parlato. Ci conosciamo da dieci anni, eppure non mi hai mai detto nulla di Nola. Pensavo che fossimo amici."
"Ma in nome del cielo, cosa avrei dovuto dirti? 'A proposito, caro Marcus, non ti ho mai detto che nel maggio del 1975, ad Aurora, mi sono innamorato di una quindicenne (...)"»


In conclusione, l'unica verità che ho potuto riscontrare su questo libro è come si legga velocemente, nonostante la mole. Di fatti, tolta la noia delle prime 300 pagine, è scritto in maniera talmente tanto scarna da poterlo leggere facilmente; inoltre non serve neanche una particolare attenzione ai dettagli, visto che tutto si basa su grandi rivelazioni e mai sui particolari disseminati qua e là come nei classici gialli. Non serve, dunque, chissà che concentrazione e concordo con chi la definisce una lettura da ombrellone

Neanche a dirlo, La verità sul caso Harry Quebert non è un libro che consiglierei. Ma se proprio volete togliervi lo sfizio, il consiglio che vi do è di cercare almeno di recuperarlo usato a qualche mercatino o libreria di seconda mano. E fatevi un favore, andate a leggere prima l'estratto che trovate su Amazon. Mi ripeterò, ma non vi voglio sulla coscienza: se lo stile fosse stato migliore, questo libro sarebbe stato sicuramente più godibile, quindi se con l'estratto vi accorgete che non fa per voi, non sperate in un miracolo, perché fidatevi, non avverrà.

Ovviamente non leggerò altro di Joël Dicker. 

E con questo si conclude la recensione della delusione dell'estate.


P.S. Sul mio profilo TikTok trovate un video in cui mostro le foto di alcune pagine. Giusto per farvi un'idea più accurata.


VOTO

2 commenti:

  1. Aspettavo la tua recensione dal momento in cui mi hai parlato del libro e finalmente riesco a commentare. Che dire? Il capolavoro l'hai scritto tu, la tua ironia pungente nei confronti dei libri mediocri è sempre qualcosa di geniale😂😂. Personalmente dopo aver letto qualche estratto e per come lo hai descritto non so come possa essere considerato un capolavoro! La parte della ragazza è veramente imbarazzante, manco nei romanzi per ragazzine dell'ottocento c'era roba del.genere. Seriamente, in Una Ragazza Fuori Moda della Alcott ci sono protagoniste sfaccettate e che ci tengono alla loro indipendenza... E non è proprio un romanzo recente! Tristezza infinita, solo che ora, come sempre voglio leggerlo per farmi due risate 😂❤️

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    1. Ahahah ad un certo punto ho continuato a leggerlo fingendo fosse una parodia: come si suol dire "ridiamo per non piangere". Per quanto riguarda il fatto che venga ritenuto un capolavoro mi chiedo anch'io come sia possibile, ma ormai non mi stupisco più di nulla. Se proprio lo vuoi leggere, comprarlo usato, ma non spendere più di €3 perché non ne vale minimamente la pena!

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